lunedì, agosto 07, 2017

Gocce d'inchiostro: Il guardiano del faro - Camilla Lackberg

Titolo: Il guardiano del faro
Autore: Camilla Lackberg
Casa editrice: Marsilio
Prezzo: 18, 50 €
N° di pagine: 446
Trama: In una notte d'inizio d'estate, un auto percorre a gran velocità la strada che collega Stoccolma alla costa occidentale. La donna al volante ha le mani sporche di sangue. Insieme al figlio, Annie sta fuggendo verso Graskar, nell'arcipelogo di Fjàllbacka. Quell'isola scabra, con il faro bianco e la vecchia casa del guardiano dove crescono le malvarose, appartiene alla sua famiglia, ed è l'unico posto in cui lei si sente al sicuro, lontano da tutto. La leggenda popolare vuole che lì si aggirano gli spiriti dei morti, ma questo non la turba, anzi, in quel luogo così solitario, dove il suo sguardo può spaziare solo su scogli e mare salato, ad Annie piace pensare che i fantasmi siano rimasti per farle compagnia. Intanto, a Fjallbacka, Erica Falck è totalmente assorbita dai suoi gemelli di pochi mesi, tanto più che Patrick, da poco rientrato in servizio, è alla prese con un'indagine piuttosto spinosa: il dirigente del settore finanze del comune è stato ucciso nel suo appartamento con un colpo di pistola alla nuca. Il movente dell'omicidio sfugge e la vittima, che poco prima di morire aveva fatto visita ad Annie all'isola degli spettri, sembra essere stato un uomo dai mille segreti. Sfidando un muro di silenzi, la polizia di Tanum scava nel suo passato e trova un collegamento con un'associazione di sostegno a donne maltrattate. Una pista che permetterà a Patrick, sostenuto dal calore di una famiglia solida e sempre più numerosa, di portare alla luce i mondi calpestati di persone a cui la parola casa desta soltanto il ricordo di cicatrici, deboli ombre che solo nell'amore per un figlio possono trovare la forza per continuare la loro fuga dal dolore che annienta ogni fuga dal dolore che annienta ogni emozione, da caos e distruzione.
La recensione:

Spesso commettiamo l'errore di lasciare sole le persone in lutto. Pensiamo che abbaino bisogno di calma, di stare in pace. Non c'è niente di più sbagliato. L'essere umano è un animale abituato a vivere in un gruppo e ha bisogno del branco intorno a sé, dell'intimità, del calore e del contatto di altri esseri umani. 

Ho percorso anditi in penombra e imboccato corridoi che mi hanno portata in vastissime sale. Un alone azzurrognolo filtrava dalle fessure di una porta che si affacciava sul mare. Il suo bagliore si proiettava sino alla foce di un mare perennemente in tempesta. Parlarne mi conferisce una strana sensazione: ho lasciato cadere un certo silenzio che non ha bisogno di scuse per essere riempito o battute per non pensare al lavoro o alla mia inutilissima vita. Se mi isso al di là della finestra mi rendo conto che un cerchio bianco coronava la stanza attorno a me. Studiandone i contorni mi rendo conto di non trovarmi più fra le vecchie e ingrigite mura di casa mia. No, assolutamente no! Ero sulla cima di un faro, all'in piedi, dinanzi al davanzale di una finestra, in compagnia di sconosciuti compagni di viaggio che hanno parlato quando è stato necessario, taciuto quando ci voleva silenzio. Intrattenendomi nel loro caldo abbraccio senza essere invadenti, dando moltissimo senza chiedere nulla in cambio. Non ho potuto fare a meno di sorridere per la famigliarità di tutto questo, apprezzando la loro volontà, il desiderio di essere solidali, il panico negli occhi e il sangue che aveva sgorgato a fiotti nel palmo di una mano. Tra poliziotti, fantasmi del passato, in una trama dipanata non perfettamente ma il cui risultato alla fine mostra un lavoro ben fatto.
Pensavo che i romanzi gialli non avrebbero mai fatto al caso mio, che non avrei mai permesso che scrupolose indagini e misteriosi killer che lasciavano un segno indelebile del loro passaggio mi offuscassero la ragione né che la mia coscienza diventasse un sacco d'ossa senza fegato. I romanzi gialli hanno sempre avuto un effetto soporifero su di me. Non avrei tuttavia permesso che romanzi come quelli della Lackberg, quel genere di romanzi con un certo potenziale, finissero per essere relegati in qualche soffitta impolverata della mia anima. Come quelli di Doyle, come un rudere che non aveva saputo ritirarsi in tempo.
Non mi intimidiva quello che avrei potuto vedere. Non avevo paura che Il guardiano del faro potesse annoiarmi, o creduto di poter, a fine lettura, scoprire "qualcosa" di tendenzialmente noioso da rendere ai miei occhi il romanzo << una noia mortale >>. Una nuova sfida indetta su Facebook reclamava la mia attenzione. E quando non sarebbe più stata necessaria la mia presenza a Fjallbacka e le indagini dei coniughi Erica e Patrick sarebbero giunte al termine, avrei finalmente potuto assaporare la mia ricompensa: leggere un giallo ambientato al mare. Con calma e senza alcun pregiudizio per convincermi che non tutto ciò che ha a che fare con indagini o misteriose sparizioni possono tediarmi. Leggendo di loro con scrupolosità e dovizia insegnandomi cosa realmente fosse il dolore.
In qualche momento della mia permanenza nella cittadina di Fjallbacka ho iniziato a pensare alla luce di questo misterioso faro come preludio del dolore. Nell'ombra ho potuto immaginare che quella luce spettrale mi avesse confinato nel suo spazio, e che i muri di quella piccola cella trasudassero mancanza, dolore o perdita, che scivolava come miele nero lungo le rocce e formava pozze gelatinose ai piedi. Soprattutto nell'ombra, quando mi era parso di vedere il volto di un bambino.
Avevo iniziato a pensare che ero salita a bordo di una barca alquanto instabile, e che ero stata sballottolata avanti e indietro, senza alcuna possibilità di opporre resistenza o governare il mio corpo. A Gastholmen, sull'isola degli spettri. Così piccola, ma sfavillante alla luce del sole.
In quest'isola le mie giornate, perennemente avvolte da banchi di nuvole grigie e ombrose, brillavano furtive come un disco candido sulla placida superficie di un lago e, sporgendosi morbidamente con la loro pallida luce, proteggevano con il suo chiarore i miei entusiasti viaggi pomeridiani. Niente ha spiegato cosa ha attirato la mia attenzione, quale intento narrativo abbia ammaliato il mio spirito quando, la sera, le soavi note che si sono librate nell'aria acquietarono la mia mente come una lenta litania. Tuttavia, catapultarmi su uno spazio ancora per me oscuro e profondo di cui non sapevo assolutamente nulla, aveva destato il mio fascino. Attanagliato le viscere, con trasporto ed impeto, accarezzandomi come morbida pelle.
In un breve lasso di tempo sono stata coinvolta da una serie di situazioni dominate dalla disperazione, che hanno turbato il mio animo e avvolto completamente il mio corpo. Facendomi perdere la cognizione del tempo e, in qualche ora, divenendo più essenziali persino della mia stessa vita.
In una notte dall'aria fredda e pungente, i miei occhi seguivano i caratteri stampati di un romanzo che è stato composto incidendo un delitto sulle pagine e, con le palpebre pesanti e il libro posto a mò di leggio sopra le gambe, non riuscivo a scollarmi se non quando giungevo alla fine del capitolo. Un omicidio si contendeva silenzioso la mia coscienza. Nel cuore della notte, con il silenzio delle mie riflessioni, ho osservato inquietamente la tragica vicenda di un uomo manovrata da un fato egoista e bastardo come piccole marionette. Ho visto cose che non avrei dovuto vedere, avvertito paure come una malattia che avrebbe cominciato a manifestarsi immediatamente, dapprima in modo quasi impercettibile, poi con la fatalità di una condanna. Mi sono immedesimata a tal punto da provare empatia per ogni singolo personaggio. Disillusi, feriti, senza alcun futuro ne prospettiva. E, nel segreto del loro animo, invidiosi del resto del mondo, per la struttura della loro vita, l'importanza e il significato di quello che avrebbero potuto ottenere in un futuro più roseo. Anime peccatrici intrappolate in un pozzo buio e profondo che, al di la di quella maschera di cera tanto gelosamente custodita, vivono costantemente col timore di essere puniti: gente comune che conducevano una vita spensierata, ma a cui è stata tolta la felicità come un alito di vento.
Farsi travolgere completamente da loro, dalla loro storia, è stato come vedere una luce che avrebbe rischiarato l'oscurità della landa deserta in cui sono involontariamente sprofondata e in cui ancora mi dibatto. Ammalia, intriga, incuriosisce, ci spinge impulsivamente a intraprendere questo meraviglioso viaggio. Scavare nei recessi più reconditi della psiche umana, dare voce a chi non ha mai avuto voce, riuscire a convivere con quello che si è fatto, soffrire per qualche tempo e farsi travolgere completamente dai ricordi.
Il guardiano del faro è un quadro brillantemente costruito in cui ogni pagina trasuda insoddisfazione, frustrazione, amore, dolore e che ammalia sin dal primo sguardo. Una storia in cui, questi manichini ombrosi che l'autrice descrive, in una manciata di secondi, divengono "persone". La tristezza e l'insoddisfazione è talmente palpabile che, quando loro la lasciano trapelare, sembra di viverla in prima persona. Il sale delle lacrime versate da Emelie vedendo il suo amato Sam morto, bruciano il viso. Lo spirito del romanzo ha tanto di famigliare. Tutti i personaggi, alla fine, realizzano i loro desideri più profondi: Emelie vede riesumare una parte della storia della sua vita, nella landa deserta del suo spirito, prima di voltare pagina; Sam viene vendicato. Ma solo troppo tardi ti accorgi del prezzo che hanno dovuto pagare per sottrarsi al loro destino. Ogni grumo di felicità sembra essere stato deturpato. Il fato, così docile, ragionevole, disponibile a trattare all'inizio, alla fine ha esagito una crudele vendetta in cambio della felicità.
Una storia di redenzione e cambiamenti, nella quale gli omicidi sono all'ordine del giorno, ma i cui atti violenti continuano a ferire i cuori dei più sensibili. Un accozzaglia di avvenimenti, personaggi che, delineati non proprio magistralmente, hanno tuttavia annientato il mio spirito.

Valutazione d'inchiostro: 3 e mezzo 

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